Sebbene l'industrializzazione prima e agglomerati residenziali dopo, hanno fagocitato molte aree verdi del Genovesato, la Valpolcevera, vero e proprio polmone verde alle spalle di Genova, ha mantenuto in gran parte la sua identità. Per arrivarci, basterà poco più di un quarto d'ora d'auto. Lasciata la città, percorrere entrambe le strade parallele al torrente Polcevera e ci s'immerge in un ambiente tranquillo, con boschi e casette con vigne ed orti. Un'ampia zona in gran parte ancora rurale, dall'importante passato storico, con testimonianze di oltre duemila anni fa.
Nel 1506, Agostino Pedemonte, contadino, trovò nel greto del rio Pernecco (affluente del Polcevera) a Pedemonte di Serra Riccò, la famosa "Tavola di Bronzo" (ribattezzata Tavola Bronzea), risalente al 117 a.C. Un esclusivo reperto che ci da le prime e più remote notizie documentate sull'intera vallata. Su questa Tavola Bronzea (detta anche "Sententia Minuciorum") c'è inciso, secondo l'uso romano, la sentenza pronunciata dai giudici romani, i fratelli Marco e Quinto Minuci, su una questione di confini territoriali tra i liguri Langates, insediati nella parte alta della Valpolcevera, e i Genuates, abitanti nella parte bassa della valle medesima. L'aspra diatriba, ebbe inizio quando i Genuates mandarono in prigione alcuni Langates, rei, secondo loro, di avere sconfinato nella loro proprietà. E sebbene i liguri di queste zone non fossero dei sudditi ma alleati dei Romani, fu chiesto alla magistratura di Roma di risolvere la spinosa questione, risoltasi a favore dei Langates.
Tale sentenza (Tavola Bronzea), fu affissa su cippi che tracciavano i confini. Essendo scritta in latino, per gli aborigeni fu incomprensibile. Con la colonizzazione dei Romani, si perse del tutto l'antico idioma ligure. Sull'antico documento, si citava l'esistenza di colture agricole tra cui la vigna, e di animali domestici e selvatici.
Arriviamo al salame
Ovviamente più silvestre e lussureggiante di oggi, la Valpolcevera per l'abbondanza di querce, era il regno prediletto di porcastri (maiali selvatici) e cinghiali. I barbari, golosi mangiatori di carne suina, oltre che allevarli, durante le loro scorribande l'imposero anche nelle campagne italiche. Non a caso, Plinio la citava come Pulcifera o Porcifera. Un termine che ha, secondo alcuni studiosi, significati diversi: uno che si rifà appunto ai maiali e cinghiali e, l'altro, derivato dal torrente che gli da il nome, citato anticamente come Porcobera o Procobera, cioè corso d'acqua ricco di trote.
Probabilmente, proprio dai Romani (Gavio Apicio nel suo "De re coquinaria", descriveva modi per produrre ed affumicare i salami), si può supporre che i liguri, acquisirono i primi metodi rudimentali per produrre insaccati. Di certo contribuì alla sua produzione in loco, il commercio del sale. L'antica Via del Sale, fatta costruire dal Console romano Aulo Postumio, nel secondo secolo a.C. che, collegando la Liguria al Piemonte, permise ai liguri di acquisire nuove tecniche di conservazione delle carni e di produzione dei salumi. Anche la particolare orografia della vallata, in gran parte irta e scoscesa, pilotò la scelta dei contadini verso animali di taglia inferiore ai bovini, quali ovini e, in particolare, suini. Del maiale, come recita un antico e sempre attuale detto, non si butta via niente.
Da sempre i contadini locali ne traggono - oltre a tagli di carne - sanguinacci, testa in cassetta, salcicce, coppa, prosciutti e prevalentemente salami. Anche se sono due i comuni oggi noti per l'eccellente salame, Sant'Olcese e Serra Riccò con la frazione Orero, in verità si può affermare che il salame locale è nato nel comune di Sant'Olcese. Infatti Orero, dove ebbe iniziò la produzione del salame, sino alla seconda decade d'agosto del 1877, faceva parte del comune di Sant'Olcese. Fu un decreto del 24 agosto dello stesso anno, firmato dal re d'Italia Vittorio Emanuele, che dichiarò: "A cominciare dal 1° dicembre 1877 la borgata Orero è distaccata dal comune di Sant'Olcese ed unita a quello di Serra-Riccò."
Gli autori del salame di Sant'Olcese
Tra le molte tradizioni gastronomiche preferite dai genovesi, non può mancare il salame di Sant'Olcese. Una consuetudine radicata nel tempo, in particolare nel periodo primaverile ma che, tranne una lieve flessione d'estate, prosegue nel resto dell'anno. Memorabili mangiate in primavera, quando con le fave raccolte al punto giusto, se ne celebra il matrimonio. Immancabile sulle tavole di trattorie e ristoranti della Valpolcevera, ma spesso presente anche in quelli cittadini.
Sino a pochi decenni fa, i genovesi per risparmiare, acquistavano carni e squisiti salumi in macellerie della valle, notoriamente fuori dazio. In uno storico menu del 1902 che descrive un pantagruelico pranzo di Natale nelle ricche dimore genovesi, il salame di Sant'Olcese ne rappresenta la degna ouverture. Attualmente i produttori di salame tradizionale sono solo tre. Il Salumificio Orero di Rocchin Torrazza (sorto prima della separazione con Sant'Olcese), situato nella località omonima e, gli altri due, il Salumificio Cabella (di Adriano e Gino Cabella) sorto nel 1911, la cui famiglia è citata già nel 1539, e il Salumificio Parodi, nato nella seconda metà dell'Ottocento, entrambi di Sant'Olcese. Quest'ultimo, senza togliere nulla agli altri, ha saputo crearsi una meritata immagine commerciale, divenendo quasi sinonimo del prelibato salame.
I Parodi del Santolcese
A dare avvio al Salumificio Parodi, fu Luigi Parodi bisnonno dell'attuale titolare che, nel 1880, produceva già salame a Sant'Olcese. Per venderlo, Luigi scendeva a Genova dove, con un carro trainato da un mulo, impiegava ben due giorni per completare il giro dei clienti. Un personaggio operoso e previdente, come attesta una sua polizza rilasciata nel 1908 dalla Società anonima Italiana di Assicurazione, con cui assicura per 5.000 lire il mulo usato per il trasporto dei salami.
Una tradizione che si è mantenuta per quattro generazioni, passando via via, da Luigi, Federico, Giuseppe e, al figlio di quest'ultimo, Federico, coadiuvato da oltre un lustro dalla dinamica e simpatica figlia Emanuela. Ma anche la moglie Enrica e, le altre due figlie, Elena ed Elisabetta, quando possono danno una mano. Un successo ultracentenario, che poggia le sue solide basi sulla qualità del prodotto, mantenuta inalterata sino ad oggi. Il giusto premio per i Parodi, la fiducia ed il consenso dei consumatori genovesi e non.
Innanzi tutto, parliamo delle carni che compongono il salame di Sant'Olcese. Carne di suini selezionata, di razza nazionale ed allevati in Emilia, e carne bovina scelta (mezzene, con carne soda e magra) di razza piemontese e bruna alpina, proveniente da piccoli allevatori piemontesi. Le percentuali di entrambe, sono circa del 50%. Il grasso, "lardelli", è quello sodo e gustoso proveniente dal dorso del suino. Entrambe le carni, dotate di tutti i requisiti (timbri e documentazione) d'igiene e tracciabilità, dopo la sosta in frigorifero a + 2°c, passa (sempre in un ambiente a bassa temperatura) alla prima fase di lavorazione, la mondatura.
Operazione che consiste nel tagliare a pezzi, separatamente, le carni e ripulirle a mano, togliendovi grasso, tendini e cartilagini. Poi è la volta del taglio delle carni, operato non da una tritatrice ma da un cutter, in quanto la taglia a piccoli pezzetti, lasciandovi ancora i suoi succhi ed umori. Poi spinta in una tramoggia, passa alla trafila con fori di dimensioni variabili, dando una grana medio-grande. Mentre il grasso di suino è fatto passare alla cubettatrice. Si amalgamano con cura le carni con i lardelli e, mescolando, si aggiunge la concia, cioè in dosi segrete e variabili, nonché di legge, sale, aglio liofilizzato pestato, farina lattea, zucchero, acido ascorbico e nitrato di potassio.
Poi si passa all'insaccatura. Con l'ausilio dell'insaccatrice, si riempiono i budelli, che possono essere naturali (budelli di maiale, cavallo, montone ) e artificiali (a base di cellulosa). Per quello ottenuto col budello naturale, il Santolcese tradizionale, è indispensabile l'abilità di chi lo riempie, essendo notoriamente meno resistente. Per questa ragione, non è chiuso col sigillo metallico. Anche nell'ultima fase, la legatura, ci sono differenze: i salami col budello naturale devono necessariamente essere legati a mano, mentre gli altri possono essere già appesi.
Poi, la fase di asciugatura: appesi ai travi del soffitto degli essiccatoi, i salami asciugano lentamente, per 3-4 giorni, al calore del fuoco di legna di rovere, sprigionato da un'antica stufa e da un grande braciere. Un metodo tradizionale, forse oggi unico nel suo genere, che conferisce straordinari aromi e sapori. Altri tipi di salumi, richiedono locali di stagionatura con temperatura controllata. Il tocco finale glie lo da, dopo 15-20 giorni, l'aria tersa e fresca di Sant'Olcese. Da quel momento, tagliato di sbieco col coltello a fette spesse, si può finalmente assaporare.
Altre cose buone di Parodi
Oltre al tipico "il Santolcese", merita doverosamente un assaggio, la "Mostardella", una sorta di salame povero, ma non meno buono, fatto con i residui di lavorazione del salame, a metà strada tra il salame e la salsiccia. Conosciuta solo nel bacino della Valpolcevera, l'umile Mostardella sin dal passato, ha dato origine a moltissimi piatti semplici ma di straordinaria saporosità. Poi, per tutti i gusti, testa in cassetta, prosciutto cotto, coppa, salsiccia, lonza stagionata, speck, lardo, bresaola e pancetta coppata e steccata, nonché durante le festività di fine anno, zamponi, cotechini, e irrinunciabili galantine di suino e vitello. Benché il tutto sia reperibile in vari esercizi cittadini, merita fare un salto nel punto vendita di Sant'Olcese (aperto anche di domenica) e, una gradita visita, al salumificio Parodi, dove Federico ed Emanuela vi accoglieranno con simpatia e cordialità.
Virgilio Pronzati, giornalista specializzato in enogastronomia e già docente della stessa materia in diversi Istituti Professionali di Stato...
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