Negli ultimi dieci anni, il commercio internazionale di vino è raddoppiato, passando dai 10 miliardi del 1995 agli oltre 28 miliardi di dollari nel 2007. A crescere è stata la quota dei paesi dell'Emisfero Sud (Australia, Cile, Sud Africa, Nuova Zelanda) e degli Usa, che è passata dall'11% al 22% e, in termini di quantità esportate, dall'8% al 30%; contestualmente i primi cinque paesi Ue (Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Germania) sono scesi dal 76% al 61%. I dati, resi noti da Nomisma nel corso dell'Assemblea del settore vitivinicolo di Fedagri a Trento, dimostrano come la dimensione di impresa, sostenuta da una maggiore flessibilità a soddisfare le esigenze di mercato, sia un reale vantaggio competitivo: non è un caso se ai vertici della viticoltura internazionale ci siano aziende come l'australiana Foster's Group che, pur non avendo nel comparto vitivinicolo il suo core business, ricava dall'export di vino il 37% del proprio fatturato. La dimensione strutturale economica e l'orientamento ai mercati internazionali sono fattori strategici anche per le imprese cooperative di Fedagri-Confcooperative.
Ad avvalorare questa tesi è il sensibile miglioramento delle performance produttive al crescere delle dimensioni aziendali, in virtù di una maggiore efficienza dei processi e di un più efficace accesso al mercato. La cooperazione vitivinicola ha la percentuale più alta di propensione all'export di tutta la cooperazione agroalimentare: il 59% delle imprese del settore vende oltre i confini nazionali, contro una media del 25% delle altre cooperative. «Anche se in questi ultimi anni si sono verificati importanti casi di aggregazione - ha dichiarato il presidente del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative Adriano Orsi - resta ancora molto da fare lungo questo percorso per permettere alle imprese di aumentare il proprio posizionamento competitivo in un mercato che diventa sempre più concorrenziale. In tale scenario, la cooperazione vitivinicola dovrà continuare a giocare un ruolo fondamentale per lo sviluppo e la salvaguardia della viticoltura italiana che sconta, come noto, una forte polverizzazione produttiva».
Denis Pantini di Nomisma ha evidenziato come «le dimensioni delle aziende vitivinicole determinano anche un incremento del potere contrattuale nei confronti della distribuzione che hanno come interlocutori strutture commerciali e distributive con elevati livelli dimensionali e di concentrazione elevati. E questo non riguarda solamente i mercati di consumo più distanti o emergenti (come quello cinese, indiano o degli altri paesi asiatici), ma anche al mercato inglese, dove le prime tre catene della distribuzione moderna detengono il 60% delle vendite alimentari del paese o quello tedesco, dove la concentrazione è pari al 58%.
Fonte news: Sommelier.it
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