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Mondo Vino

Anche l'India scommette sul vino

di Riccardo Modesti

MappaArticolo georeferenziato

Ci vuol coraggio a farlo con un consumo pro capite che si misura a millilitri. Il tempo potrebbe però essere galantuomo verso chi crede nella viticoltura locale.

Tanto si parla della Cina che poco si parla dell'India, e questo non vale solo per quanto riguarda la bevanda di Bacco. Sarà forse perché gli indiani (da non confondere con i nativi Americani) non ci invadono con artigianato a basso costo (su tutto il resto sorvoliamo) ma esportano soprattutto grandi cervelli. Si tratta però, come la Cina, di un continente nel continente, nonché di un paese dalle dinamiche molto complesse. Contrariamente alla Cina, però, l'India si sta affacciando alla ribalta mondiale in maniera più pacata: rispetto al 1991, anno in cui la nazione uscì da una situazione di economia pianificata con forti tendenze autarchiche, alcuni passi avanti sono stati compiuti. Tuttavia, la posizione 118 occupata nell'apposita graduatoria che valuta il tasso di apertura dell'economia di una nazione, la dice lunga su quanto vi sia ancora da fare. Inoltre, nonostante una crescita media annua dell'economia nazionale pari al 7% negli ultimi cinque anni, restano tuttavia da risolvere diversi problemi: ci sono infatti ancora gravi carenze dal punto di vista dell'istruzione, della sanità e, soprattutto, delle infrastrutture. Tagliando corto, questi motivi fanno sì che se la Cina è vicina, l'India lo è un po' meno. Per il momento godiamoci allora tutto l'ottimismo e l'allegria che trasuda da alcune godibilissime pellicole sfornate da "Bollywood", la fabbrica del cinema indiano, una su tutte "Monsoon wedding", pellicole che non avranno certo un grande valore culturale ma che mi colpiscono sempre per l'abbondanza e la vivacità dei colori che contengono.


Mercato in pillole

Parlando di bevande alcoliche, il vino non può certo vantare una posizione di leadership, anzi: la sua quota di mercato ammonta infatti a un misero 0,84%, il che fa 5 millilitri di vino a testa, per un valore complessivo di 50 milioni di euro. Questo dato risibile va però confrontato con il tasso di crescita, che ha fatto segnare un +22% complessivo negli ultimi tre anni.
In India il vino arriva sia imbottigliato (definito localmente BIO, ovvero bottled in origin) che sfuso da imbottigliare in loco (definito localmente BII, ovvero bottled in India). Da notare che l'importazione di vino, tranne che per alcuni canali particolari molto privilegiati, è stata vietata fino al 2001: poi, un po' le contrattazioni in sede Wto, un po' la riflessione che il turista internazionale non disdegna una buona bottiglia, qualche freno è stato allentato.
Le tasse di importazione sono comunque ancora piuttosto elevate: da notare però che il dazio per i vini BIO è ancora superiore a quello applicato ai vini BII. Ogni Stato, visto che l'India è una repubblica federale, poi, mantiene proprie prerogative rispetto alle normative sulla distribuzione e alle imposte applicate sui prodotti. Il tutto è comunque attentamente supervisionato dal governo centrale di Delhi.
La maggior parte del mercato è costituita da vino fermo (85%), mercato che si concentra principalmente in una ventina di aree: andando ulteriormente nel dettaglio si scopre che solo quattro di esse - Mumbai (già nota come Bombay), Goa, Bangalore e Delhi - contribuiscono addirittura al 70% del totale. La parte del leone è costituita da vini aventi un prezzo tra i 4 e i 12 euro a bottiglia (67%).


Scommessa sul futuro

Quali sono i motivi per cui nel paese del te e del curry anche il vino ha la possibilità di ritagliarsi un proprio spazio? I motivi vanno ricercati nella solita, vituperata globalizzazione, che ha contribuito a far aumentare i giri del motore dell'economia, il che significa una classe media sempre più benestante, alimentando nel contempo un contatto sempre più stretto con l'Occidente anche grazie agli intensi scambi legati al settore di punta dell'industria indiana, ovvero l'alta tecnologia. Va da sé che il vino, prodotto che fa parte dello stile di vita occidentale, viene percepito attualmente in maniera decisamente migliore rispetto ai liquori: e con un mercato potenziale di 300 milioni di consumatori, oltre a un forte appeal nei confronti dei giovani, è molto probabile che il vino possa avere un futuro anche qui. E non solo quello importato.


Vini indiani? Ottimi e abbondanti...

Il fatto che l'India non solo produca vino ma lo esporti anche può davvero apparire come una grande sorpresa: l'export attuale si aggira addirittura intorno al milione di pezzi, molti dei quali raggiungono anche diversi Stati europei. Per sovrammercato, esistono già consistenti pressioni da parte dell'India presso l'Unione Europea per accedere ai nostri mercati. In effetti la realtà produttiva indiana numero uno, che si chiama Château Indage (nota anche come Champagne Indage), nacque nel 1980 proprio per produrre vino da esportare, visto che all'epoca il mercato interno era praticamente nullo. Una medaglia di bronzo ottenuta da un proprio prodotto al concorso internazionale Wine&Spirits di Londra nel 1986 segnò l'ingresso dell'India sulla carta geografica mondiale del vino.
Château Indage, come riportato dal proprio sito web, vanta una grande diversificazione di marchi, vini per tutti i gusti e tutte le tasche, 69 varietà nel vigneto (inclusi Montpulcano, Brunello, Sangioviesi e Grillo noir - che sono proprio riportati nel sito secondo questo spelling un po' particolare -), il 75% del mercato e oltre 40 paesi verso i quali esporta. Nel 1982 stipulò addirittura un accordo con Piper-Heidsieck (Champagne) per produrre vini e champagne sul suolo indiano, mentre nel corso degli ultimi anni ha stretto alleanze con aziende cilene, australiane e francesi per lanciare i loro prodotti sul mercato indiano attraverso la creazione di un marchio congiunto. Nello scorso febbraio ha addirittura acquistato un distributore britannico, con l'ovvio intento di facilitare la penetrazione dei propri prodotti in terra d'Albione.
Château Indage, di fatto l'azienda capostipite della vitivinicoltura indiana e che produce circa 3,5 milioni di bottiglie, oggi gode della compagnia di molte altre realtà, e questo soprattutto perché la produzione di vino viene considerata un buon affare: a un mercato potenziale molto vasto si affiancano infatti regimi fiscali favorevoli per chi di dedica all'attività di trasformazione dell'uva.


Nashik, la Napa Valley indiana

Lo Stato del Maharashtra è stato quello che in tal senso si è mosso con maggior efficacia, attirando decine di investitori intorno a Nashik, 200 chilometri a est di Mumbai, già definita la Napa Valley indiana e dove viene prodotto oltre il 30% del vino targato Maharashtra. I provvedimenti presi non includono comunque solo aspetti fiscali ma piuttosto la stesura di un piano ragionato e atto a far crescere la viticoltura locale in maniera armonica, realizzando infrastrutture, vivai e laboratori di analisi, studiando i mercati e fornendo agli agricoltori un importante supporto culturale di base: non per niente li chiamano "Wine park"...
I dati dicono che la produzione del Maharashtra nel corso dell'anno 2005 è salita a quota 94.000 ettolitri (per dirla all'indiana 94 lakh litri), che corrisponde alla metà di quella nazionale.
Il successo di Nashik è legato a favorevoli condizioni pedoclimatiche, quali terreni argilloso-calcarei, un clima monsonico con alternanza tra stagione asciutta e umida ed escursioni termiche piuttosto accentuate. Ridendo e scherzando, comunque, sono ormai una trentina le aziende che hanno aperto i battenti nel corso degli ultimi 4/5 anni. Altri distretti particolarmente interessati alla vitivinicoltura sono Sangli, sempre nel Maharashtra, e Bangalore, nel Karnataka.


Sentori di curry... e di affari

La miglior realtà emergente, e che si trova proprio presso Nashik, si chiama Sula Vineyards, il cui fondatore ha lasciato la Silicon Valley per tornare in patria e piantare vigneti sui terreni di famiglia precedentemente adibiti a piantagioni di mango. I primi impianti di Sula Vineyards risalgono al 1997, mentre la prima vendemmia risale all'anno 2000. Il buon Rajeev Samant, questo il nome del proprietario che vanta una laurea in ingegneria alla Stanford University, si avvale dei servigi del consulente californiano Kerry Damskey.
L'obiettivo di Sula Vineyards è di arrivare a produrre 1,5 milioni di bottiglie per la prossima vendemmia, contro gli 1,1 di quella appena passata: tra i vini prodotti vi è anche uno spumante brut che, secondo le recensioni che ho trovato sul web, vanterebbe anche un aroma di curry. Quando si dice il terroir ...
Château Indage e Sula Vineyards, insieme a Grover Vineyards, rappresentano a oggi i tre giocatori chiave della partita: nelle loro mani si concentra infatti il 90% dell'intera produzione indiana. Difficilmente resteranno soli a lungo: il settore vitivinicolo sembra infatti essere molto appetito, visto che qualche fondo di investimento ha già acquistato quote di aziende: quasi il 20% di Château Indage è già nelle mani di due fondi, e anche Sula Vineyards e Grover Vineyards sono prossimi a cedere proprie quote secondo modalità analoghe. Non mancano peraltro personaggi dotati di capitali e voglia di prestigio disposti a scendere in campo: D'Ori Winery, fondata da un capitano d'industria dell'high tech che si chiama Ranjit Dhuru, vendemmierà per la prima volta nel 2006 e, quando andrà completamente a regime, produrrà un milione di bottiglie. Si produrrà dunque un fenomeno analogo a quello californiano negli anni '90, cioè i ricconi dell'alta tecnologia che vanno a investire nel vino.
Altra informazione utile a inquadrare il fenomeno è costituita dall'interessamento del colosso australiano del beverage Foster's, intenzionato a posizionarsi per accaparrarsi una fetta della torta che sarà. Anche la Seagram, che attualmente produce superalcolici, scenderà in campo: la produzione prevista sarà intorno ai 10.000 ettolitri.


Un occhio all'import

Venendo all'import, si scopre che il primato è saldamente nelle mani dei francesi, dietro ai quali veniamo noi, gli australiani e gli statunitensi, anche se si segnala una forte risalita da parte della Germania. La febbre del vino ha già comunque fatto considerevolmente aumentare il numero degli importatori. Attenzione, però: il già citato Stato di Maharashtra sta assumendo misure concrete per proteggere la propria "gallina dalle uova d'oro", misure che si concretizzano nel raddoppio dell'accisa sui vini importati e sulla concessione alla vendita diretta da parte delle aziende "made in India" a rivendite, alberghi e ristoranti. Diverse joint-venture internazionali, che coinvolgono marchi prestigiosi come Miguel Torres, E&J Gallo, Pernod-Ricard, danno un segno sicuro della volontà di esserci da parte di molti, e di esserci con un adeguato anticipo. Anche il vino italiano tenta comunque di fare la sua parte: Mumbai e Delhi hanno infatti ospitato nello scorso gennaio un paio di appuntamenti piuttosto significativi e presidiati da nomi prestigiosi quali Gaja, Antinori, Biondi Santi, Lungarotti e Cà del Bosco.


Conclusioni

E così, mentre cresce il numero di appassionati e i banchi d'assaggio vanno moltiplicandosi, anche l'India entra nel novero dei mercati cosiddetti "emergenti". Certo, l'impressione è che finora la vera emersione sia ancora di lì da venire, ma le prospettive sembrano comunque interessanti.
Più interessante ancora sarà seguire l'evoluzione della vitivinicoltura indiana, in grado di andare a costituire uno dei settori avanzati di un'agricoltura nazionale che fatica a riorganizzarsi secondo logiche più moderne ed efficienti: le remunerazioni attualmente spuntate dalle uve da vino sono infatti decisamente allettanti, molto di più rispetto alle uve da tavola peraltro già coltivate, e vengono considerate con attenzione dagli agricoltori delle zone vitivinicole. Vedremo se l'industria del vino indiana saprà svilupparsi in maniera più logica e razionale rispetto ad altre che, partite per spaccare il mondo, stanno decisamente segnando il passo, attualmente impelagate nelle sabbie mobili costituite da impressionanti surplus di prodotto.

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Riccardo Modesti

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Sono nato nel 1967 a Milano e fino a qualche anno fa ho fatto il tecnico informatico: dopo una quindicina d'anni davanti a un monitor ho cominciato...

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