C’era una volta il feudo dei Della Gherardesca. Immensa proprietà di questa famiglia dalla storia altrettanto immensa. Chilometri e chilometri di costa quasi deserta, di padule fitto di selvaggina, di macchia e di campagna, dove le grandi fattorie sembravano cristallizzare un mondo destinato a non cambiare mai. Battute di caccia interminabili con relativi trofei, qualche vecchio, carissimo bracconiere che fingeva di increspare la sostanziale tranquillità dei luoghi. A tavola, pochi sbagli: cucina povera, trionfi di cinghialein tutte le salse e altre specialità solo di recente riscoperte dai gourmet in cerca di rarità. Nel 1970 entra in commercio il Sassicaia, uno dei miti dell’enologia mondiale, celebratissimo re dei vini nostrani. Il vero deus ex machina, l’origine del boom del vino del territorio livornese. Un’esplosione forse senza precedenti: in soli vent’anni quell’area marginale che era tutta la lunga fascia collinare compresa tra Livorno e Piombino è divenuta l’eldorado del vino italiano, portandosi al traino tutta la teoria degli altri prodotti della terra: il miele, i salumi e naturalmente l’olio extravergine, ulteriore gemma di questo territorio che già sta facendosi spazio sui mercati mondiali, ma che fortunatamente si trova ancora in fattoria, direttamente dal produttore.
E’ in questa zona, rimasta naturalisticamente e paesaggisticamente intatta, che anni orsono, precorrendo una tendenza divenuta oggi nazionale, è nata la Strada del Vino della Costa degli Etruschi. Come dire un dedalo di itinerari tra borghi, pievi, antichi poderi, macchie e cantine che si snoda attraverso gli angoli più nascosti della campagna livornese, alla scoperta dei sapori migliori, delle situazioni più suggestive, dei prodotti più gustosi e dell’enogastronomia più autentica, naturalmente, quella delle trattorie e delle ricette riscoperte. Per non parlare dei vini. Sono addirittura quattro le Denominazioni di Origine Controllata che insistono su questo fazzoletto di terra, a testimonianza di una realtà produttiva divenuta davvero importante dal punto di vista qualitativo: il Montescudaio, il Bolgheri, il Val di Cornia e il Terratico di Bibbona che esprimono sia la versatilità che la vocazione di un territorio, è il caso di dirlo, davvero riscoperto in chiave vinicola. Diventa questo, allora, l’inevitabile filo conduttore di un viaggio che conduce, in un’alternanza sempre nuova, attraverso luoghi noti e frazioni sconosciute. Ad esempio quei borghi arroccati da secoli sulle alture, per mettersi in salvo dalle insidie del mare e, più realisticamente, da quelle degli assalitori, saraceni o bizantini che fossero.
Come Rosignano Marittimo o Bolgheri, proprio quella dei carducciani cipressi “alti e schietti”, che pare debba il suo nome alla guarigione di soldati bulgari messi lì a guardia della piazzaforte intorno all’VIII secolo. O come Castagneto, ricercata da personaggi illustri ma anche da tanta gente comune che vuole godersi il paesaggio, la tranquillità e la buona tavola. Gli amanti della natura, delle passeggiate, dei funghi e dell’erba di campo incontrano invece i sentieri incantati dell’incredibile macchia della Magona, che da Bibbona s’inerpica sulle colline per migliaia di ettari, ove si trovano anche splendide aziende agrituristiche. E’ qui che trionfano, al pari che nei ristorantini, tante specialità del passato come le pappardelle al cinghiale o la zuppa con lo scalogno. O come la rarissima testina di cinghiale. La bellezza dei luoghi concilia l’appetito, del resto. Le rovine della Torre di Donoratico, ad esempio, rifugio del conte Ugolino dopo il disastro della Meloria. Oppure Sassetta, con i suoi scorci da alta collina, la macchia che tende al bosco, le strade che a ogni virata nascondono una sorpresa.
Qui si possono incontrare gli ultimi carbonaie le bizzarre sacche dialettali di chi esercita questo mestiere in via di estinzione. E a tavola? Tortelli di spinaci e ricotta conditi con un sugo a base di immancabile cinghiale, varie specialità alla brace inclusa la selvaggina, umidi con le olive, papparedelle alla lepre. Anche se in fondo siamo a pochi chilometri dal mare. Si arriva così a Suvereto, in un intercalare di paesaggi da sogno e magari dopo una sosta nelle fattorie che vendono i prodotti biologici della loro terra. Suvereto è un delizioso comune ricco di testimonianze architettoniche medievali, come la chiesa di San Giusto e il Palazzo Comunale duecentesco. A Campiglia invece, dopo un giro del bel borgo medievale, sosta d’obbligo al suggestivo parco archeo-minerario, alla scoperta della Rocca di San Silvestro (vestigia di un antichissimo borgo) e poi, per ritemprare il fisico, alle terme di Venturina: qui l’acqua, raccolta in un laghetto attrezzato alla bisogna, sgorga naturale a 36°.
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