Venti di crisi in cantina, ma il vino italiano di fascia alta resiste e si prepara alla sfida. Le previsioni dell'Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marche. La Ricetta Anti-regressione: gioco di squadra, promozione coordinata e strategie d'attacco su new buyers e mercati emergenti.
Crescita moderata sul mercato domestico, sostanziale tenuta sui mercati internazionali. In tempi di recessione globalizzata, le prospettive per il vino italiano di qualità lasciano tutto sommato ben sperare. E’ quanto emerso oggi a Roma, nel corso della conferenza stampa dell’Istituto del vino italiano di qualità Grandi Marchi “L’export premia la qualità. La strategia delle grandi firme del vino”. Secondo un’indagine dell’Istituto – condotta dalle 17 aziende consorziate su 30 mercati di sbocco – la crisi c’è e si sente, ma penalizzerà soprattutto quei brand che negli ultimi anni non sono stati in grado di adeguarsi alla mobilità del mercato e che non hanno puntato su obiettivi mirati al prezzo/qualità. La tendenza generalizzata, infatti, è quella di una crescente oculatezza negli acquisti da parte dei consumatori, che mai come oggi possono scegliere fra prodotti analoghi, per prezzo e tipologia, provenienti dalle più svariate aree vinicole del mondo. A fare la differenza sarà sempre più la qualità del prodotto, ovvero la sua specificità territoriale. E se appare probabile una riduzione dei volumi sui prodotti caratterizzati da più debole distribuzione, i prodotti tradizionali di sicura qualità dovrebbero mostrare maggiore tenuta, così come i prodotti di nicchia top di gamma.
Nel 2008, le storiche aziende consorziate nell’Istituto (Biondi Santi Spa, Michele Chiarlo, Ambrogio e Giovanni Folonari, Pio Cesare, Tenuta San Guido, Cà del Bosco, Umani Ronchi, Carpenè Malvolti, Lungarotti, Masi, Mastroberardino, Alois Lageder, Rivera, Jermann, Donnafugata, Marchesi Antinori, Tasca D’Almerita) - quasi 3000 anni di storia vitivinicola italiana e 500 milioni di euro di fatturato complessivo nel 2008, dei quali il 60% realizzati all’estero - hanno visto crescere le proprie esportazioni del 10%, con un significativo interesse da parte di paesi emergenti. Se i principali sbocchi commerciali sono ancora rappresentati da Stati Uniti e Nord Europa, dove si prevedono le maggiori contrazioni di domanda, il vino italiano di qualità continua ad affermarsi su mercati inediti e dal grande potenziale, posizionandosi sulle fasce più alte di consumo, primi fra tutti Brasile e Messico. Qui le importazioni italiane sono cresciute negli ultimi anni ad una media del 20 per cento e il vino made in Italy può rivelarsi un vero status symbol per i 22 milioni di persone appartenenti alla classe medio-alta. Altre piazze di sicuro interesse riguardano invece l’Estremo Oriente, in particolare Seul, Singapore, Taipei, che rappresentano dei veri e propri hub nella distribuzione asiatica. Mercati in gran parte inediti, sui quali le 17 case portabandiera del made in Italy enologico hanno già intrapreso, dalla fine del 2008, iniziative mirate che hanno raggiunto complessivamente circa 12 mila contatti tra giornalisti, ristoratori, operatori commerciali, sommelier, opinion maker.
Tengono infine le esportazioni verso Olanda, Scandinavia, Russia, Canada, che negli ultimi anni hanno mostrato un moderato ma costante trend positivo. La rotta da seguire per uscire indenni dalla burrasca punta dunque verso una crescente attenzione alla qualità e un maggiore gioco di squadra fra aziende e istituzioni. Secondo il presidente dell’Istituto, Piero Antinori, “la congiuntura negativa va gestita con determinazione, aumentando gli incontri con i Paesi-destinazione e facendo squadra tra produttori, istituti di credito e istituzioni come l’Unione Europea, sempre attenta a supportare progetti seri di promozione. Prima ancora di vendere è necessario informare, comunicare correttamente la qualità espressa dal nostro prodotto, che è il nostro vero punto di forza. Per questo nel 2009 intensificheremo le occasioni di incontro, con un budget previsto di circa 1 milione di Euro”.
A cercare il punto debole del sistema vitivinicolo italiano, lo si trova infatti nelle frammentarie attività di promozione, troppo spesso episodiche e lasciate all’iniziativa dei singoli, e nello scarso coordinamento delle politiche commerciali, prive di programmazione e di strategie condivise a livello nazionale. In altre parole, si fa troppo poco e male per un prodotto che rappresenta uno dei maggiori punti di forza dell’offerta agroalimentare italiana. Va in questa direzione il programma finanziato dall’UE che vede l’Istituto Grandi Marchi a fianco dell’Unione italiana seminativi, dell'Istituto di valorizzazione dell'olio d'oliva e del Consorzio di tutela del Provolone Valpadana. A disposizione ci sono fondi per 3,75 milioni di euro nel triennio 2009-2011, di cui 1,87 elargiti da Bruxelles, rivolti in particolare a favorire la penetrazione commerciale in Canada, Russia e India. Il programma, della durata di tre anni, prevede attività di promozione affiancate da corsi professionali pensati in maniera specifica per gli operatori locali, in modo da contribuire a una migliore conoscenza e percezione del prodotto di qualità sui mercati internazionali.
Fonte news: Istituto del Vino Italiano di Qualità Grandi Marche
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