Il mangiare non è solo un modo di alimentarci. Fa parte della storia quotidiana di ognuno di noi. Tutti o quasi si ricordano di un piatto mangiato in tenera età. Lo stesso da adulti. Il cibo oltre che nutrirci, ci gratifica, ci fa socializzare ed evolvere. Da sempre è protagonista nelle opere di grandi pittori e scrittori. Sempre restando che la cucina di qualità è nata nelle case di persone facoltose, un mangiare meno costoso, più semplice ma non meno buono, è stato per molto tempo sulle tavole dei meno abbienti. Non necessariamente poveri ma contadini, operai e famiglie numerose. La necessità, come tutti sanno, aguzza l’ingegno. L’aringa e la patata hanno in parte evitato la carestia in Europa. Quest’ultima ha sostituito la rapa nel nostro Paese. Non c’è regione che non abbia dei piatti che contengono i popolari tuberi. Anzi, nella cucina francese, le patate trovano ampi spazi. Un gran merito da riconoscere ad Antoine Augustin Parmentier, agronomo, nutrizionista e igienista francese.
In Liguria, particolarmente nel Genovesato, nei primi anni dell’Ottocento c’è voluto l’impegno di don Angelo Dondero di Roccatagliata che, durante messe e sermoni, convinse i fedeli a nutrirsi anche di patate. Se nel levante genovese spicca la Baciocca, torta di patate e cipolle, nel ponente cittadino o meglio a Voltri, c’è il Bugiandu, sorta di polenta di farina di frumento e patate nata oltre un secolo fa a Fiorino, minuscolo borgo montano dell’ampio entroterra di Voltri. Da oltre un secolo, il Bugiandu è stato il mangiare delle genti più umili delle numerose e piccole località collinari dell’entroterra Voltrese, solcato dai torrenti Cerusa e Leira. Oggi si può trovare forse ancora sulle tavole di qualche famiglia di Fiorino e Sambugo (noto per i suoi deliziosi cobelletti), ma soprattutto a Fabbriche (borgo sviluppatosi nel 17° secolo per l’insediamento di iutifici, filande e cartiere) durante i quattro giorni della Festa dedicata a San Bartolomeo Apostolo, nell’annessa Sagra della polenta “Bugiandu”, giunta quest’anno alla 22a edizione. Nell’ultima decade di agosto, dal 22 al 25, centinaia di persone di tutte le età, provenienti dalle vicine località, Voltri e Genova, salgono a Fabbriche per gustarsi il Bugiandu.
Una tradizione gastronomica che vanta oltre un quinto di secolo, ideata e realizzata dai fratelli Giampietro e Riccardo Parodi e Dino Ginogi, con la collaborazione di un gruppo di amici locali. Nella sagra, il Bugiandu è condito non solo con la tradizionale salsa d’aglio (saporita ma non piccante e ricca anche di pinoli), ma col tocco, con sugo di salsicce, col sugo di funghi e di noci (sarebbe interessante col pesto). Quest’ultimo è sicuramente tra i condimenti più congeniali, in quanto il Bugiandu è simile alla pasta delle trofie (gnocchi in genovese). Per i ghiottoni e guormand, ci sono anche focaccine, tagliatelle col sugo, succulente salsicce alla griglia, braciole di vitello e manzo, trippe accomodate, formaggi e dolci casalinghi. Tutti (o quasi) rigorosamente fatti e serviti dai volontari dello staff della Sagra del Bugiandu, riconoscibili dalla classica maglia gialla. Una piacevole scampagnata fuori porta gradita da grandi e piccini, che vuol essere un motivo di cristianità per funzioni religiose di messe e rosari, vespri dedicati al Santo Patrono e, di socialità, con musica, canti, balli e gastronomia locale. In questa edizione, c’è stato qualcosa in più.
Tra i numerosi presenti, non sono mancati esperti enogastronomi e sommelier che, dopo l’assaggio alla cieca di pregiati vini, li hanno poi magistralmente abbinati al Bugiandu condito con diverse salse. Ecco il gruppo di gourmet e i migliori vini degustati: Pier Ugo Tammaro delegato Onav di Genova e presidente della Sezione Gastronomica dell’Università della Terza età di Sestri Ponente, Giancarlo Marabotti (con signora) del Direttivo della Condotta Slow Food Genova "Prof. Giovanni Rebora", referente Alleanza Produttori-Ristoratorii e dei Presidi, nonché autore della provenzale Tapenade gustata col Bugiandu, e i bravi sommelier della Sezione Fisar Varazze, Riccardo Parodi, Brunello De Belath, Giovanni Valentini e Giovanni Valle con le rispettive signore. Da citare tra i vari vini, ll fresco, sapido e invitante Spumante Brut Metodo Charmat di Secondo Scanavino, un ottimo e armonico Colli Orientali Doc Pinot Bianco 2012 di Ermacora, un buon Morellino di Scansano Docg 2011 della Cantina Montecivoli, l’interessante Irpinia Rosso IGT 2009 di Montevetrano, un grande Brunello di Montalcino Docg 2003 di SassodiSole e, dulcis in fundo, l’aromatico e complesso Passito Doc Fior d’Arancio 2006 della Cantina Montegrande.
La ricetta del Bugiandu (circa 7 chili e mezzo)
4 kg di patate a pasta bianca possibilmente delle montagne genovesi; 2 kg di farina di grano tenero; 4 litri d’acqua; 150 g di sale grosso marino; 120 gr di olio extravergine di oliva ligure.
In un grande pentolone cilindrico e alto, fare bollire le patate nell’acqua col sale. Togliere metà dell’acqua, aggiungere la farina, e continuare a far cuocere a lungo pestando al centro, con un bastone (simile a una mazza da baseball più piccola e con testa piatta) per eliminare i grumi e amalgamarle gli ingredienti. Aggiungere l’olio e continuare al far cuocere pestando e mescolando. Se il composto è poco morbido, aggiungere una parte dell’acqua rimasta. Raggiunta la cottura ottimale, senza più pestare e mescolare, lasciare ancora 5-6 minuti sul fuoco per farlo asciugare. Togliere dal fuoco e, ancor caldo, versarlo su una madia. Con le mani bagnate d’acqua fresca, tornire subito il Bugiandu, dandogli la forma del formaggio Grana Padano. Tagliarlo col filo a fette spesse un centimetro, porle nel piatto e condirle col sugo preferito. Se con salsa all’aglio e il pesto, abbinarci il Riviera Ligure di Ponente Pigato 2012 servito a 11°C in calici con stelo alto. Con salsa di noci abbinare il Golfo del Tigullio-Portofino Vermentino della medesima annata e servito alle stesse modalità. Con sugo di funghi (in rosso) sposarci il Golfo del Tigullio-Portofino Ciliegiolo e il Valpolcevera Rosso 2011, serviti entrambi a 16°C in calici con stelo medio. Con salsicce al sugo accompagnarlo con Pornassio 2010-2011 servito a 16-17°C nei calici prima citati.
Salsa all’aglio (per 5 preparazioni di Bugiandu).
2 kg di Grana Padano grattugiato; 1 kg di pinoli di Pisa o nazionali; una testa d’aglio di Vessalico, dell’Astigiano o del Piacentino; 15 centilitri di olio extravergine di oliva ligure; un po’ d’acqua di cottura delle patate.
Per piccole quantità si può usare al meglio il mortaio. Mentre nel cutter si sminuzza finemente l’aglio con pinoli e olio. Sempre rimestando, aggiungere il formaggio e di seguito, un po’d’acqua di cottura delle patate. La salsa dovrà risultare giustamente densa e cremosa.
Nella foto: da sinistra Riccardo Parodi con un piatto di Bugiandu, Dino Ginogi, Giampietro Parodi e Giorgio Parodi
Virgilio Pronzati, giornalista specializzato in enogastronomia e già docente della stessa materia in diversi Istituti Professionali di Stato...
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