Negli anni Ottanta il contesto ampelografico ligure comprendeva ben 39 varietà di vitigni tra raccomandati e autorizzati, così suddivisi: 13 a La Spezia, 11 a Genova, 9 a Savona e 6 a Imperia. Oggi i vitigni sono 30 (16 a bacca bianca e 14 a bacca nera) e non sono più vincolati a restrizioni provinciali, a meno ché non compongono i vari vini Doc. I vitigni sono un po’ come le persone. Ci sono quelli cosiddetti intelligenti, cioè di dar vita a vini dal profumo composito e buona struttura, e quelli cosiddetti comuni, da cui derivano vini più semplici ma piacevoli. L’ampelografia mondiale racchiude oltre 7 mila vitigni/uve suddivisi tra quelli da vino e quelli da tavola. Come succede da un po’ di tempo in quasi tutte le nostre regioni, anche in Liguria c’è
Tra questi, dopo averne vinificato piccole quantità di uve (micro vinificazioni) e ripetute analisi chimiche e organottiche, il raro Scimiscià. Un vitigno originario della Val Fontanabuona che, nel passato, dava i migliori bianchi locali e migliorava anche i mosti fatti con varie uve. Il suoi primi vini erano da tavola, poi IGT ed oggi finalmente Doc, entrando a far parte della Doc Golfo del Tigullio-Portofino.
Sconosciuto ancor oggi al di fuori del Genovesato, il Scimiscià godeva di buona popolarità e reputazione già da alcuni secoli in Val Fontanabuona. Ma le uniche testimonianze scritte su questo vitigno, risalgono alla metà dell’Ottocento. G. B. Arata ne scrisse nel bollettino agrario del febbraio 1882, citando che tra i vari vitigni presenti nel circondario di Chiavari, oltre i già noti Vermentino e Albarola, c’era il Scimiscià, chiamato allora Cimiciato. Altre informazioni ci vengono da C. Garibaldi, proprietario terriero di Pontori, in Valgraveglia. Nei suoi “Ricordi al Padrone e Doveri da Manenti” scritti tra il 1802 e il 1822, annota”…non ti scordare la Moscatella, Vermentino, e Cimixiaro che (l’uva) la fan migliore”. “Le vigne principali da coltivarsi in Garibaldo sono le Brazole, Rolli, uve bianche, Pignoli, uve nere e, Bessari, che ne fan molte. Ma le migliori di sapori, che però ne fan poca, sono le Moscatelle, che van coltivate al sole e non confuse colle altre vigne perché seccano, Vermentino, Cemixiaro, Boccadoro, Augustana”.
Il recupero del vitigno risale sul finire degli anni 90. Dai vecchi filari di Scimiscià o Simixià donati da Marco Bacicalupo, per anni portabandiera e pioniere del Simixà, la Cooperativa Agricola San Colombano, per mezzo dell’agronoma dott. Silvia Dellepiane, e lo studio (ampelografico) del dr Lorenzo Corino docente dell’Università di Agraria di Torino, è stata fatta una piccola quantità di vino, di cui i risultati sono stati molto positivi. In seguito, con un certosino lavoro durato oltre un lustro, fatto con reimpianti sperimentali e ricerche clonali, è stato possibile far iscrivere il Simixà, al Registro nazionale dei vitigni, presso il Ministero Politiche Agricole e Forestali. Nel 2003, promossa dalla Comunità Montana Fontanabuona nell’ambito del locale Expo, si è tenuta una presentazione-degustazione di Simixà secco e passito, nella quale sono emerse testimonianze dirette sul vitigno e sul vino, e la conferma della qualità dei Scimiscià o Simixià degustati.
Nel 2005 col contributo economico della Provincia di Genova e la costituzione del Comitato Promotore per il Recupero e la Valorizzazione del Patrimonio Varietale di Vite del Genovesato, costituito dalla stessa Provincia, dalla Comunità Montana Fontanabuona, dalla Cooperativa Agricola San Colombano, dagli agriturismo Da u Cantin e Valle Chiappella di San Colombano e dall’azienda agricola Nervo di Coreglia Ligure, c’è stato un decisivo passo avanti nella valorizzazione e diffusione del Scimiscià. Dai fondi erogati per il progetto, furono acquistati 2000 portinnesti “1103” Paulsen (in seguito innestati, in quanto le marze di Scimixà del vigneto di Cassottana presentavano delle virosi). Seguì l’impianto di barbatelle distribuite all’azienda agricola e ai due agriturismo. Dopo quattro anni le prime uve di Scimiscià, vinificate per tre annate dal dr Giancarlo Stellini, enologo e Responsabile dell’Ufficio “Promozione territoriale - Agricoltura” della Provincia di Genova. Il più era fatto. Oggi i pochi produttori realizzano, tempo permettendo, buoni vini.
Dall’esame del DNA è emersa un’interessante scoperta. l’analisi genetica per la caratterizzazione varietale, impiegando 11 microsatelliti, ossia studiando altrettanti punti del genoma soggetti a frequenti variazioni. In aggiunta a questi, ne sono stati valutati altri 33, per un totale di 44, al fine di eseguire un’identificazione clonale nell’ambito della popolazione di Scimixà o çimixà, in quanto tale varietà presentava due biotipi: con grappolo grande e grappolo piccolo. Confrontando il DNA dei due vitigni, è emerso che essi sono diversi tra loro, ma che il profilo genetico del Scimixà coincide con quello della varietà “Genovese”.
Un vitigno collezionato in Corsica (Aleria) da un anonimo ricercatore dell’Università di Davis in California. Una scoperta che ha basi accreditate: infatti la Corsica appartenne a Genova per ben 421 anni.
Ecco alcuni assaggi di Scimiscià fatti in anni diversi.
Scimiscià (Simixà) 1978 - Alcol: 13,5% - Produttore Marco Bacicalupo
Scimiscià 2002 - Alcol: 12% - Prodotto da Silvia Dellepiane
Scimiscià Passito 2002 - Alcol:15,4% - Prodotto da Silvia Dellepiane e Lorenzo Corino
Sentè Vino Bianco 2012 - Alcol: 12,5% - Prodotto da U Cantin
Maccaia Vino Bianco Dolce 2010 - Alcol: 13,5% - Prodotto da U Cantin
L’Antico Colline del Genovesato IGT - Alcol: 13% - Prodotto da Cantina Bisson
Nella foto: Grappolo di Scimiscià.
Virgilio Pronzati, giornalista specializzato in enogastronomia e già docente della stessa materia in diversi Istituti Professionali di Stato...
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Inserito da Luca Risso
il 11 settembre 2013 alle 13:54Luk